Facciamo il punto? Saggio sulla vita che muore, di Yuri Radaelli

La vita muore

(per quanto la cosa possa darci sui nervi)

 

Questo articolo non è che si occupa di molto altro che di questo: capire veramente - prima con la mente, ma poi sopratutto con la pancia - che la sofferenza che ci assedia, non nasce dal fatto che il mondo è ingiusto, cattivo, inospitale, o esiste il male.
Bensì per via di un fatto molto più semplice: soffriamo perché stiamo vivendo!

La vita muore?

Questa mi sembra proprio essere la domanda più importante. Magari esagero, ma mi viene da pensare che l'intera civiltà, la società, l'economia, la religione, la scienza, l’arte e ogni comportamento umano, sia una risposta a questa domanda.

Speculando sulla vita

La vita siamo noi stessi: ognuno di noi dentro di sé si sente vivo. E sentiamo vivi gli altri, gli animali, a loro modo anche le piante. Noi non ci sentiamo un ente cartesiano, ma un essere vivente. E una caratteristica che mi sembra strutturare ogni forma di vita simile a noi è la volontà di vivere: il continuo sforzo di preservare la propria vita, quindi temere e fuggire la morte.

Elucubrando sulla morte

La morte non è esattamente un “qualcosa”: esistono cose inanimate, come le pietre, le nuvole, insomma le cose, che non hanno mai vissuto quindi è improprio dire che sono morte, anche se si possono chiamare “natura morta”; perciò la morte non le riguarda come un evento, e invece riguarda proprio gli esseri viventi che possedendo la vita possono perderla, morire e tramutarsi in cose. Chiamiamo morte la trasformazione di un vivente in cosa.
Ma questo, a noi da parecchio sui nervi... Suppongo perché riguarda me e te, e diventare cose per eoni infiniti per non risvegliarsi mai più è oggettivamente piuttosto deprimente, ma anche perché, nel frattempo che si vive, non si vive mica sempre tanto bene...
Insomma, il "morire" della vita è un possibile flagello finale, e anche uno stato di continuo, esacerbante assedio.

Il morire

Ma il punto della questione è proprio questo interrogativo: se noi, che siamo vivi, moriremo. Una delle prime cose che si pensa è che questa è una contraddizione: noi sappiamo di essere vivi, siamo esseri viventi... come possiamo cessare di essere ciò che siamo? Un altro pensiero, è che - se dovesse essere così - sarebbe angosciante, impensabile, inaccettabile. E la conseguenza di questo pensiero è se, in tal caso, ci sia una soluzione, un modo per fuggire a questo destino. L'ultimo pensiero che mi viene è che senso abbia vivere, nel caso si debba morire.

La negazione della morte

E’ proprio partendo da questa ripugnanza del morire, che mi chiedo se la civiltà possa essere vista come un insieme di risposte a questo interrogativo: la religione è sicuramente il caso più eclatante perché risponde che la morte è solo apparente, infatti tutte le religioni affermano che qualcosa di noi perdura dopo la morte "del corpo". L'organizzazione sociale e la scienza possono essere considerati delle forme di protezione per scongiurare le minacce ferine e posticipare la decadenza corporea che ad essa conduce. L’arte non si lascia ridurre a classificazioni semplicistiche però storicamente celebra la vita, e la sua ambizione all'armonia estetica potrebbe essere vista come il tentativo di immortalare gli ideali intangibili e sconfiggere la gretta materia. E le forme di evasione e di intrattenimento, dalle favole alle soap opera, ai testi della musica leggera, per lo più ci proiettano in mondi fantastici contraddistinti dai valori vitali, amore, potere, piacere e spesso da un senso di ordine cosmico, telelogico, che culmina con la vittoria dell'eroe, della giustizia, del bene sul male, dell'armonia sul caos, quindi il trionfo della vita sulla morte.

Ma quindi: la vita non muore?

In realtà, c’è molto poco da speculare... quando decidiamo - ma ci vuole parecchio coraggio - di riflettere seriamente su questa eventualità, ci rendiamo facilmente conto che è tristemente probabile che sia proprio così: i nostri simili e tutti gli esseri viventi che ci somigliano, con un corpo, occhi e che cinguettano o scodinzolano, nascono, crescono, si riproducono e poi muoiono. Non conosciamo nulla di vivo che rimanga uguale a se stesso, anzi: la vita stessa respira, si muove, consuma e si trasforma… La principale obiezione è che il nostro pensiero e i nostri sentimenti ci sembrano decisamente oggetti “immateriali”. Eppure, anche i nostri pensieri e sentimenti mutano continuamente e - almeno mentre dormiamo senza sognare - cessano di costituirci. Non esistono pensieri e sentimenti perenni, stabili e immutabili, dentro di noi: perché dovremmo quindi considerarli la prova che siamo fatti di una sostanza incorruttibile?

La vita (ahimé) muore

...E se fosse proprio così? Se io, Yuri Radaelli, fossi destinato a morire? Credo che nessuna persona riflessiva possa escludere completamente questa eventualità. Ma in tal caso, se la vita muore: che senso ha il vivere? E perché pensarci? E cosa fare? Non ho idea... So solo che voglio sapere come stanno le cose senza rifugiarmi in palliativi per pusillanimi. Quindi ho deciso di fare i conti con questa eventualità, anzi prenderla come una certezza! Perché mi sembra più dignitoso, nel dubbio, abbracciare la prospettiva che spaventa di più. Per me è una questione di dignità intellettuale.
Spero di sbagliarmi, ovviamente, e che un giorno mi appaia un ente immateriale o che si possa verificare sperimentalmente l’esistenza di sostanze immutabili dentro gli esseri umani o semplicemente di risvegliarmi dopo la morte. Ma, fino a prova contraria, continuerò a pensare che - come non sono esistito prima di cinquant'anni fa - da un certo momento in poi non esisterò mai più.
A questo punto, però, apro una piccola parentesi perché mi pare che molte persone si perdano un po’ per strada, su questo punto... supponendo che un giorno non esisterò più, beh... quel giorno non potrò più saperlo, giusto? Da quel momento in poi e per sempre, quando il pianeta terra sarà probabilmente inghiottito dal sole, e io non esisterò già da moltissimo tempo, continuerò a non saperlo, cioè non saprò di non esistere; perché, siccome non esisterò più, non ci sarà nulla che saprà di non esistere... Quello che fa di me un "me" è fatto del mio pensare, ricordare, avere emozioni... perciò mi è impossibile immaginarmi il mio non esistere! Ma se un giorno non esisterò più, non potrò saperlo perché non ci sarà nulla, di me, che potrà pensare, che potrà ricordare e provare emozioni: semplicemente non sarò più, non sarò più nulla.
Suppongo che sia per questo, che Epicuro diceva che quando c’è la morte non ci siamo più noi e che quindi che non vale la pena preoccuparsene.
Aspetta! Un'altra parentesi, l'ultima, giuro... anche se la vita morisse, io credo nel valore della vita, la mia e quella di tutti gli esseri viventi, per puro e semplice istinto. Amare la vita e temere la morte è un istinto, o un sentimento, insomma un qualcosa che sento dentro di me e a cui non posso sottrami neppure se volessi. Non decidiamo di amare e non decidiamo chi amiamo. Ci capita e basta.

...Ma.


Tutto questo problemone del morire, e del soffrire, a pensarci bene, scaturisce da un presupposto, da una condizione di partenza, da un'origine sostanziale, che è, si capisce...
vivere,
essere vivi,
essere viventi,
essere esseri viventi!
Dicendo che la vita muore, quindi, stiamo anche dicendo che la vita esiste: che c'è qualcosa che nasce, pulsa e vive, per quanto possa essere materiale, durasse troppo poco e non portasse da nessuna parte. Il fatto stesso di temere la morte è un impulso della vita, del nostro voler vivere... Soffriamo perché stiamo vivendo!
E io, tutto questo, lo trovo qualcosa di assolutamente affascinante.
Allora, invece di vederla come se la luce della vita venga minacciata dalle tenebre della morte, dalle macchie delle angosce e dai chiaroscuri del dolore, si potrebbe pensare che quello che ci sta capitando è proprio il vivere: la vita è esattamente questo, questo esserci, questo anelito e questo soffrire; e che quindi noi contrapponiamo due aspetti che sono consunstanziali come i lati di una moneta, l'alto e il basso, un ritratto fatto di chiaroscuri.

Come vivere?

E quindi, posto tutto questo: veramente, arroccarsi negli ideali e alienarsi nell'immaginario, è tutto ciò che ci rimane?
Rinunciare a sentire la vita per scampare all'angoscia? Non gettiamo, così, il bambino insieme all'acqua sporca?
Che cosa può dare maggiore commozione, gioia, eccitazione ed estasi se non l'accorgersi, sentire e assaporare di esser vivi e che stiamo vivendo?
E che significato può avere, l'amare, se non abbracciare tutto un essere vivente, tutto l'altro e tutto noi stessi?
No: io non voglio più rifiutare la verità della vita.
Voglio riuscire ad amare la vita.
A viverla dentro.
A morire da vivo: a vivere, morendo!


Per una rozza storia del tema

Questo tema è talmente antico da non avere un autore. L'esempio classico di sillogismo recita: "tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, Socrate è mortale"; viene comunemente chiamato il "memento mori".
Una delle prime riflessioni filosofiche su cosa potrebbe accadere quando si muore si trova nel Fedone, dialogo platonico di circa 2500 anni fa, anche se già risuona questa riflessione nel frammento 62 di Eraclito, che viene tradotto così:

Immortali mortali,
mortali immortali:
viventi la morte di quelli,
la vita di quelli morenti

Fuggire alla morte è il tema principale dell'Epopea di Gigalmesh: uno degli scritti più antichi che ci siano pervenuti, di origine sumera, che risale a 4500 anni fa ed è quindi precedente perfino alla Genesi biblica: narra di un eroe che si mette in viaggio alla ricerca dell'immortalità, ma la morte dell'amico Enkidu lo fa diventare consapevole che l'immortalità non appartiene agli esseri umani.
In epoca post-moderna questo tema risuona, ad esempio, nella domanda di Heidegger: "perché l'essere invece del nulla?".

La vita muore the movie!

Quando morirò, mi piace sognare di poter scrivere questo aforisma sulla mia lapide, un po' come il latino "Eram quod es, eris quod sum" perché vado presuntuosamente orgoglioso di averlo reso così essenziale da ambire ad essere il più breve aforisma italiano, per quanto non ci sia una definizione univoca di quale frase sia o non sia un aforisma, se non il fatto che viene usata e trasmessa come tale. Ad essere del tutto sincero, un po' mi stupisce che non sia un celebre detto o verso di qualche poeta... Evidentemente mi sbaglio a ritenerlo così affascinante o profondo, o forse è stato detto con espressione ancora più significativa o elegante e solo io lo ignoro, per mia banale ignoranza!

Bibliografia
"La vita muore ma la fede vive" Giovanni paolo II

La vita muore in altre lingue:

A questo punto, se hai dei dubbi e vuoi condividere le tue riflessioni su questo tema, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi tu.

Yuri Radaelli

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